L’evoluzione del network aziendale ed il social networking

di Laura Liguori (*)

Per crescere e mantenere efficienza e produttività le organizzazioni devono necessariamente lavorare sul continuo aggiornamento delle risorse umane, sulla loro formazione, sull’acquisizione di competenze e sulla risoluzione dei problemi. Per conseguire questi risultati esistono vari modi: si può ricorrere a consulenti o professionisti esterni, oppure ci si può semplicemente basare sulla condivisione delle conoscenze (lo sharing); proprio quest’ultima modalità, secondo una ricerca del Center for Creative Leadership, è la via più efficace, in quanto già il 70% delle competenze acquisite dalle risorse umane avviene informalmente durante il lavoro attivo (è anche un dato empiricamente semplice da verificare: basta chiedere ad un qualunque operaio dove abbia imparato ciò che fa, e sicuramente risponderà che ha imparato a lavorare… lavorando!).

E’ indubbio che le conoscenze teoriche sono la base e il fondamento per l’elaborazione di nuove idee, informazioni e competenze, ma è anche vero che la maggior parte di ciò che si fa viene imparato sul campo. Tornando alla ricerca del Center for Creative Leadership, oltre che col lavoro attivo, le rimanenti conoscenze vengono acquisite per un 20% tramite l’interazione con altre persone, e solo per il 10% tramite la formazione classica (es. le classi). Osservando questi dati appare chiaro come, per immettere conoscenze all’interno di una organizzazione, si debba dare la priorità all’apprendimento informale e alla formazione pratica.

All’interno di una organizzazione ci sono diverse esperienze e competenze, e proprio per questo ognuno può, potenzialmente, divenire un insegnante; ciò che permette lo scambio e l’insegnamento reciproco delle conoscenze è il network aziendale, che ovviamente deve essere pensato e progettato bene. Se la gestione delle informazioni e la collaborazione interna alle organizzazioni è un trend aziendale ormai da diversi anni, oggi questa tendenza viene “aggiornata” alla luce delle innovazioni tecnologiche e dell’esplosione dei social network, che modificano gli scenari collaborativi e forniscono nuovi strumenti ed opportunità alle organizzazioni. La comunicazione interna delle aziende oggi utilizza strumenti del web 2.0:

Desktop Alerts, per avere la certezza che messaggi importanti vengano visualizzati da tutti i dipendenti sul desktop;

Staff Genereted E-Mags, per condividere un documento tra più dipendenti;

Scrolling News Feeds, per dare news ai dipendenti tramite RSS feed;

Employee Blogs, Forum per condividere informazioni e favorire la comunicazione;

Social network interni.

Un esempio di network aziendale ben congegnato è quello presente alla Marsh Inc., una società di brokeraggio assicurativo di New York; tale organizzazione ha creato una sorta di social network aziendale simile a Twitter, dove uno strumento di micro blogging chiamato Sparkling permette ai dipendenti di chiedere o rispondere a domande poste dai colleghi, dare consigli, approfondimenti o soluzioni ai problemi. Sistemi come questo, spesso definiti “collaborative business intelligences”, e le strutture organizzative e i tool collaborativi ad essi sottostanti, oltre ad essere veloci permettono un considerevole risparmio di denaro e, aumentando la collaborazione ed il confronto di idee, rafforzano la cultura aziendale e la coesione delle risorse umane. Ma c’è dell’altro: l’utilizzo di software collaborativi (Lotus Notes o Microsoft Meetings, solo per citarne due) non serve soltanto a condividere le informazioni, ma anche ad istituzionalizzarle, e questo serve a far sì che, nel momento in cui le risorse umane più capaci dovessero lasciare l’azienda, le loro conoscenze non vadano perse.

Per rendere efficiente un collaborative business intelligence i manager devono plasmare o adattare la cultura aziendale in modo che sia pronta per schemi di azione così collaborativi. Tali network devono essere attivati in maniera quasi naturale perché funzionino, in quanto devono essere capiti, voluti ed utilizzati con fiducia e coscienza del mezzo dalle risorse umane; è infatti scarsamente utile installare un collaborative business intelligence in maniera forzata. E’ dunque necessario, qualora non ci sia una cultura aziendale basata sulla coesione e la collaborazione, lavorare su tale punto cercando innanzitutto di valorizzare le risorse umane e sciogliere i problemi di comprensione e comunicazione, ridurre il tasso di stress dovuto all’introduzione delle novità, e adottare un consono atteggiamento di leadership. E’ a questo livello che può operare il counselor, il tutor, il consulente o comunque un esperto esterno all’azienda, aiutando il leader a sciogliere i nodi problematici in modo da creare le premesse indispensabili per la formazione del collaborative business intelligence, e dunque della crescita e dell’innovazione.

Riferimenti bibliografici e siti web

Conner, M., The new social learning: a guide to transforming your organization through social media, Berrett-koehler, 2010

Cross, R., Liedtka, J., Weiss, L., A pratical Guide to Social Networks, su Harvard Business Review, maggio 2005

Health Research Institute, Social Media “likes” healthcare: from marketing to social business, PWC, aprile 2012

Lambrughi, O., I tool collaborativi: social network aziendali e innovazione, su www.marketing-farmaceutico.com, 8 giugno 2012

Stillman, J., Are You Giving Informal Learning Short Shrift?, su MindFlash, 7 giugno 2012

Tracey, R., E-Learning Provocateur: volume 1, CreateSpace Independent Publishing, 2011

Zielinski, D., Group Learning. Use social media to engage employees in knowledge sgaring, su HR magazine, maggio 2012

(*) Laura Liguori è dottoressa in Scienza dell’Amministrazione e collabora alla docenza all’Università degli Studi della Tuscia per la cattedra di Psicologia delle Organizzazioni.

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