La teoria dell’attaccamento applicata alle organizzazioni

L’attaccamento è quella forma di tono emotivo che unisce un soggetto a quello che si prende cura di lui; come tale, per un verso determina e per l’altro influenza il carattere generale della relazione, il modo di rapportarsi, di pensare, di percepire le cose e le situazioni, di comportarsi e di agire.

La teoria dell’attaccamento offre una spiegazione di tipo biologico e sociale dei processi che portano alla costruzione delle relazioni affettive, al loro mantenimento e alla loro rottura durante l’intero corso di vita dell’individuo, nonché dell’influenza che le relazioni affettive esercitano sui singoli e sullo sviluppo della loro personalità. Questi temi sono affrontati a partire da diverse prospettive: psicologica, emozionale, cognitiva e comportamentale. E riguardano vari ambiti di studio e di ricerca: psicologica, psichiatrica, antropologica, etologica, neurobiologica e genetica.

Alcuni studi etologici (Lorenz, 1949) osservando il comportamento animale hanno rilevato la presenza di un particolare comportamento geneticamente determinato, l’imprinting, cioè un periodo sensibile in cui si stabilisce un legame duraturo nel tempo tra il piccolo e il primo essere che si occupa di lui. La teoria dell’attaccamento, riprendendo questi studi, rileva una predisposizione innata nell’essere umano ad istaurare relazioni affettive con una figura di riferimento, il caregiver, che assicuri la continuità degli accudimenti indispensabili per la sopravvivenza psicofisica, e che svolga la funzione di proteggere la persona in situazioni di pericolo. Si tratta dell’attitudine a ricercare la vicinanza delle persone affettivamente importanti per il proprio sviluppo e a stabilire un legame in particolare con la persona che dispensi protezione e cura nei momenti di pericolo. Facendo un passo avanti è interessante notare come il bambino, diventato adulto ed iniziato il suo percorso lavorativo in una organizzazione, sviluppa relazioni di attaccamento simili con le figure interne all’azienda; in particolare è percepibile un marcato parallelo tra il rapporto infantile con la madre ed il rapporto dell’adulto nell’organizzazione con il leader di fatto. Il sistema o modulo comportamentale dell’attaccamento è costituito da un insieme di attitudini e comportamenti che hanno la caratteristica principale di mirare ad aumentare la vicinanza fisica e psicologica di un caregiver primario (il bambino che corre a mostrare alla madre come ha imparato bene a saltare a corda; il lavoratore che mostra il successo della sua idea al leader).

Il più grande sostenitore e studioso di questa teoria è John Bowlby (Londra 1907 – Isola di Skye 1990); egli sosteneva che “l’attaccamento è parte integrante del comportamento umano dalla culla alla tomba”.
All’inizio della vita l’essere nutriti equivale all’essere amati, il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme a un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere amati, nutriti d’amore, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.
John Bowlby sosteneva che all’inizio della vita umana l’essere nutriti equivale all’essere amati: il bisogno biologico legato all’alimentazione è presente insieme ad un altro bisogno, anch’esso fondamentale, quello di essere nutriti d’amore, di essere amati, di essere desiderati, voluti, accettati per quello che si è.

Per Bowlby prendere in braccio il proprio piccolo che piange è la risposta più adeguata, da parte della madre, ad un segnale di disagio del bambino: esso non si configura come un rinforzo né come un comportamento che condiziona il piccolo rendendolo “viziato”; simmetricamente, a livello lavorativo, si può dire che tendere una mano ai propri dipendenti in difficoltà, per il leader, non significa renderli incapaci di iniziativa personale, ma fornirgli quel piccolo aiuto che possa permettergli di riprendere le redini della situazione; questo principio, a ben vedere, è anche alla base di tecniche di aiuto psicologico all’organizzazione come il mentoring (che è basato sulla relazione tra due persone, il mentor ed il mentee, e richiede la forte presenza di alcune qualità squisitamente umane, quali il coinvolgimento emozionale, il potere e l’aiuto) e, seppur in misura minore, il coaching (dove c’è un rapporto tra cliente e coach, e quest’ultimo impara al primo a scoprire e ad utilizzare le sue qualità latenti, facilitando il cambiamento al fine di raggiungere determinati obiettivi). Stesso discorso per il sistema di premi interno ad una azienda: se un leader si complimenta con un dipendente o gli elargisce un bonus pecuniario, non starà viziando quel soggetto, ma starà soddisfando il suo bisogno di sentirsi riconosciuto ed apprezzato, e rafforzerà ancor di più il suo legame con l’azienda.

Bowlby aveva intuito che l’attaccamento riveste un ruolo centrale nelle relazioni tra gli esseri umani, dalla nascita alla morte. Insieme a Mary Ainsworth, lavorando all’applicazione di tale teoria, ha contribuito a dimostrare come lo sviluppo armonioso della personalità di un individuo dipenda principalmente da un adeguato attaccamento alla figura materna o un suo sostituto; questo concetto, riferito all’azienda, fa capire come lo sviluppo armonioso di una identità lavorativa, e dunque di un team efficace e poi di una organizzazione vincente, dipenda soprattutto dalla presenza di un adeguato rapporto emozionale con il leader.

Bowlby ripudia il modello di sviluppo di Freud a “senso unico” nel quale il bambino avanza dalla fase orale a quella anale ed a quella genitale. Egli contrasta la teoria freudiana secondo la quale il legame madre-bambino si basa solo sulla necessità di nutrimento del piccolo, e sostiene che il legame che unisce il piccolo alla madre non sia una conseguenza del soddisfacimento del bisogno di nutrizione, bensì costituisca un bisogno primario, geneticamente determinato, la cui funzione è garantire la crescita e la sopravvivenza biologica e psicologica del bambino.

Egli ritiene che la ricerca della vicinanza sia la manifestazione più esplicita dell’attaccamento. Gli esseri umani hanno una predisposizione innata a formare relazioni con le figure genitoriali primarie. Queste relazioni si formano durante il primo anno di vita del bambino ed hanno la funzione di proteggere la persona “attaccata”. La madre (e la relazione con lei) fornisce al bambino una “base sicura” dalla quale egli può allontanarsi per esplorare il mondo e farvi ritorno, intrattenendo forme di relazione con i membri della famiglia. Insomma, la persona fidata, ossia la figura di attaccamento, è quella che “fornisce la sua compagnia assieme a una base sicura da cui operare”. Lo sviluppo della personalità risente della possibilità o meno di aver sperimentato una solida “base sicura”, oltre che della capacità soggettiva di riconoscere se una persona è fidata può o vuole offrire una “base sicura”. La personalità sana consente di far affidamento sulla persona giusta e, allo stesso tempo, di avere fiducia in sé e dare a propria volta sostegno. Al momento in cui il bambino avverte qualche minaccia, cessa l’esplorazione per raggiungere prontamente la madre per poter ricevere conforto e sicurezza. Il piccolo protesta vivacemente se vi è un tentativo di separarlo dalla madre.
Per Bowlby i legami emotivamente sicuri hanno un valore fondamentale per la sopravvivenza e per il successo riproduttivo.

Anche il concetto di “base sicura” può essere facilmente riportato alla dimensione organizzativa: all’interno di un contesto lavorativo, infatti, la “base sicura” è il leader e la relazione con esso. Egli deve costituire necessariamente il punto fermo del sistema. Laddove questo ruolo di “base sicura” venga a mancare, oltre a situazioni di disagio e deriva psicologica del lavoratore si vanno a favorire anche fenomeni come lo stalking occupazionale (forma di stalking, ossia di insieme di atti persecutori, in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene dall’ambiente di lavoro) e il mobbing orizzontale (insieme di comportamenti violenti, lesivi della dignità personale, professionale e della salute psicofisica, attuati da un gruppo nei confronti di un proprio membro in maniera prolungata nel tempo). La vita lavorativa di un soggetto risente pesantemente della presenza o meno di un leader sicuro, e quest’ultimo influisce anche sulla fiducia che il lavoratore ha per sé stesso (so di avere il sostegno del mio leader, dunque non avrò paura di presentare le mie idee) e sulla possibilità per il lavoratore di essere egli stesso base sicura per qualche altro soggetto (per esempio, per il lavoratore neoassunto o per lo stagista). Se la presenza di legami sicuri con il leader fornisce conforto e sicurezza, e se aumentano così l’autostima e la capacità di fare proposte, avere idee, tentare strade alternative e definire obiettivi nuovi, tutta l’organizzazione rileverà benefici e sarà più produttiva, efficace ed orientata al miglioramento rispetto ad una azienda pari per sistema produttivo e capitale umano, ma con rapporti inconsistenti tra il leader e i dipendenti.

Il termine “base sicura” è da attribuirsi a Mary Ainsworth (Glendale 1913 – Charlottesville 1999), la quale ideò nei tardi anni ‘60 un valido strumento di indagine, la “Strange Situation”, per classificare i tre pattern base di relazione in bambini di età prescolare ricongiuntisi ai genitori dopo un lungo periodo di degenza in un sanatorio.
La Ainsworth distinse un primo gruppo di bambini che manifestava sentimenti positivi verso la madre, un secondo che manifestava relazioni marcatamente ambivalenti ed un terzo che intratteneva con la madre relazioni non espressive, indifferenti o ostili.

Il sistema di classificazione della Strange Situation prevedeva inizialmente tre stili di attaccamento: sicuro, insicuro ansioso ambivalente e insicuro evitante; successivamente tale classificazione è stata modificata da Main e Salomon con l’aggiunta di un quarto stile, il “disorientato/disorganizzato”, per descrivere le diverse gamme di comportamenti spaventati, strani, disorganizzati e apertamente in conflitto, precedentemente non individuati
Lo stile di attaccamento che un bambino svilupperà dalla nascita in poi dipende in grande misura dal modo in cui i genitori, o altre figure parentali, lo trattano.

In base a tale interazione si strutturerà uno dei seguenti stili attaccamento:

Stile Sicuro: l’individuo ha fiducia nella disponibilità e nel supporto della Figura di attaccamento, nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo. In tal modo si sente libero di poter esplorare il mondo. Tale stile è promosso da una figura sensibile ai segnali del bambino, disponibile e pronta a dargli protezione nel momento in cui il bambino lo richiede.
I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: sicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di essere amabile, capacità di sopportare distacchi prolungati, nessun timore di abbandono, fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri, Sé positivo e affidabile, Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la gioia.

Stile Insicuro Evitante: questo stile è caratterizzato dalla convinzione dell’individuo che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della Figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato da questa. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, senza l’amore ed il sostegno degli altri, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé.
Questo stile è il risultato di una figura che respinge costantemente il figlio ogni volta che le si avvicina per la ricerca di conforto o protezione. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amato, percezione del distacco come “prevedibile”, tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto, apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto, Sé positivo e affidabile, Altro negativo e inaffidabile. Le emozioni predominanti sono tristezza e dolore.

Stile Insicuro Ansioso Ambivalente: non vi è nell’individuo la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere ad una richiesta d’aiuto. Per questo motivo l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è inclina all’angoscia da separazione. Questo stile è promosso da una Figura che è disponibile in alcune occasioni ma non in altre e da frequenti separazioni, se non addirittura da minacce di abbandono, usate come mezzo coercitivo. I tratti che maggiormente caratterizzano questo stile sono: insicurezza nell’esplorazione del mondo, convinzione di non essere amabile, incapacità di sopportare distacchi prolungati, ansia di abbandono, sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri, Sé negativo e inaffidabile (a causa della convinzione che la figura di attaccamento abbia sfiducia verso di lui), Altro positivo e affidabile. L’emozione predominante è la colpa.

Stile Disorientato/Disorganizzato: sono considerati disorientati/disorganizzati gli infanti che, ad esempio, appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento o portano le mani alla bocca con le spalle curve in risposta al ritorno dei genitori dopo una breve separazione. Altri bambini disorganizzati, invece, manifestano comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre simultaneamente si avvicinano ai genitori. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti, mentre assumono espressioni simili alla trance. Sono anche da considerarsi casi di attaccamento disorganizzato quelli in cui i bambini si muovono verso la figura di attaccamento con la testa girata in altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo.

A questi stili comportamentali riscontrabili nel bambino possono farsi corrispondere quattro stili di attaccamento tipici dell’individuo adulto:

Stile Sicuro: modello di Sé positivo e dell’Altro positivo. Basso esitamento, bassa ansia. Alta coerenza, alta fiducia in se stesso, approccio positivo con gli altri, alta intimità nelle relazioni. Il modello positivo dell’individuo sicuro lo porta ad avere una grande fiducia in se stesso ed un grande apprezzamento degli altri, dai quali viene considerato come tipo positivo.
Le sue relazioni importanti sono caratterizzate da intimità, rispetto, apertura emotiva ed i conflitti si risolvono in maniera costruttiva.

Stile Preoccupato: è assimilabile allo stile insicuro ansioso ambivalente del bambino. Modello di Sé negativo e dell’Altro positivo. Il modello negativo che l’individuo preoccupato ha di sé lo porta ad avere una bassa autostima tendente alla dipendenza del giudizio degli altri, mentre il modello positivo che ha dell’altro lo porta alla continua ricerca di compagni e di attenzione. Necessita continuamente di intimità nelle relazioni, tanto che la sua insaziabilità nella richiesta di attenzione tende a far allontanare gli altri. Le sue relazioni emotive sono costellate di passione, rabbia, gelosia e ossessività. Tende ad iniziare i conflitti con il caregiver rimandando, però, la rottura del legame.

Stile Distanziante: è assimilabile allo stile Evitante. Modello di Sé positivo, dell’Altro negativo. Il modello positivo dell’individuo distanziante lo porta ad avere alta fiducia in se stesso senza interessarsi del giudizio degli altri, anche se pensa di essere considerato arrogante, furbo, critico, serio e riservato. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta a dare l’impressione di non apprezzare molto le altre persone apparendo, talvolta, cinico o eccessivamente critico. Svaluta l’importanza delle relazioni e sottolinea l’importanza dell’indipendenza, della libertà e dell’affermazione. Le sue relazioni sono caratterizzate dalla mancanza dell’intimità, tendendo a non mostrare affetto nelle relazioni. Preferisce evitare i conflitti e si sente rapidamente intrappolato o annoiato dalla relazione.

Stile Timoroso-Evitante: è assimilabile allo stile disorientato-disorganizzato. Modello di Sé negativo, dell’Altro negativo. Il modello negativo che l’individuo timoroso-evitante ha di sé stesso lo porta ad avere bassa autostima e molte incertezze verso sé stesso e verso gli altri. Il modello negativo che ha dell’altro lo porta ad evitare le richieste d’aiuto, evita i conflitti ed ha difficoltà a fidarsi degli altri. È difficile trovarlo coinvolto in una relazione fortemente emotiva e quando vi si trova assume un ruolo passivo. In tali relazioni è dipendente ed insicuro. Tende ad auto colpevolizzarsi per i problemi con il caregiver ed ha difficoltà a comunicare apertamente.

La configurazione di attaccamento non è ritenuta uno stato acquisito ed immutabile, ma emerge da un processo nel quale vengono continuamente portati piccoli aggiustamenti ai modelli operativi interni e alle strategie, allo scopo di mantenere un equilibrio dinamico tra sé ed il contesto. Il contesto ha una importante influenza sul comportamento; in termini evoluzionistici, ogni configurazione comportamentale di attaccamento può essere considerata adattiva, in relazione alle effettive condizioni ambientali nelle quali l’essere umano si sviluppa.

Le relazioni con il caregiver sono interiorizzate e trasformate in schemi cognitivi che vanno a costruire gli Internal Working Model, cioè i Modelli Operativi Interni (MOI); si tratta di rappresentazioni mentali che gli individui costruiscono nel corso dell’interazione col proprio ambiente. Essi hanno la funzione di veicolare la percezione e l’interpretazione degli eventi da parte dell’individuo, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale.

I Modelli Operativi Interni consentono all’individuo di valutare e analizzare le diverse alternative della realtà, scegliersi quella ritenuta migliore, reagire alle situazioni future prima che queste si presentino, utilizzare la conoscenza degli avvenimenti passati per affrontare quelli presenti, scegliendo un’azione ottimale in relazione agli eventi stessi. Quindi permettono al bambino, e poi all’adulto, di prevedere il comportamento dell’altro guidando le risposte, soprattutto in situazioni di ansia o di bisogno.

Altro punto focale della teoria è che per Bowlby il bambino non si sviluppa per processi maturativi interni, ma per processi interpersonali; il formarsi di funzioni psichiche dipende dagli incontri intersoggettivi. Le aspettative di ogni essere umano si organizzano infatti in riferimento alla disponibilità e responsività che i suoi caregiver dimostrano rispetto alla soddisfazione dei suoi bisogni di protezione e cura. A tal proposito diventa elemento cardine la dimensione comportamentale della “sensibilità materna”, intesa come quella particolare capacità della madre di recepire i bisogni del bambino e di rispondervi prontamente e in tempi adeguati. La responsività implica qualità relazionali che si manifestano nella reciproca attività comunicativa madre-bambino, come funzione regolativa che si esprime con le modalità con cui le emozioni attivano il sistema di attaccamento.

La teoria dell’attaccamento non può non essere pensata anche all’interno di un contesto allargato, e dunque non più in riferimento alla sola diade genitore-bambino, ma anche in situazioni che comprendano un grande numero di membri e le loro interazioni; tutte le relazioni di attaccamento esistono infatti nel contesto di una trama di relazioni, e non possono essere comprese compiutamente fuori da tale contesto (bisogna ricordare che il benessere di una persona e la sua salute mentale dipendono fondamentalmente dalla qualità delle sue relazioni e dall’attaccamento agli altri). Traslando questo discorso al contesto-organizzazione, si può asserire che per comprendere pienamente la relazione tra l’individuo e l’organizzazione è necessario ottenere informazioni anche sulle interazioni tra i leader, tra i leader e l’individuo, tra l’individuo e i colleghi, tra i colleghi, ecc…

Ecco dunque che, come per il bambino la soddisfazione coniugale ed il supporto fornito dal marito alla moglie nell’accudimento del bambino sono positivamente correlati al riscontro di un pattern di attaccamento sicuro del piccolo alla madre, così all’interno di una organizzazione la capacità del leader di gestire le varie situazioni ed il consenso interno influenzano fortemente lo stato di attaccamento del singolo al suo contesto lavorativo. Un discorso simile si può fare anche per alcuni studi che suggeriscono come la presenza nelle famiglie di strategie di autoregolazione permetta di anticipare e prevenire il disagio in un componente; anche nell’organizzazione infatti i sistemi di controllo e di regolazione interna fanno sì che, durante una strange situation modificata, i leader o i colleghi, attivandosi spontaneamente in tal senso, possono prevenire l’insorgenza di ansia, stress lavoro-correlato e disturbi affini.

Schein, il maggiore studioso della cultura organizzativa, individuando alcune competenze come fondamentali per un leader per far evolvere positivamente il gruppo e accompagnare il sistema organizzativo verso il cambiamento, delinea per il capo-azienda un profilo altamente simile a quello del caregiver; le competenze del leader infatti sono:

percezione e sensibilità, ossia essere in grado di individuare i punti di debolezza e le criticità del vecchio modello culturale (un po’ come nel rapporto figlio-genitore aveva un ruolo importante la “sensibilità materna”);

motivazione, cioè saper adottare il giusto dispositivo comunicazionale, interpersonale e gruppale (e se consideriamo che la comunicazione è la prerogativa indispensabile del rapporto, va da sé che la motivazione è la condizione sine qua non dell’attaccamento);

forza emotiva, ovvero essere in grado, attraverso l’adozione dell’atteggiamento più appropriato, di trasferire sicurezza rispetto alle prospettive future, riuscendo a contenere ed elaborare l’ansia e la sensazione di smarrimento e paura provocata dall’abbandono di vecchi modelli (si tratta della capacità di essere “base sicura”);

capacità di cambiare gli assunti culturali, ossia riuscire a condurre le persone attraverso una vera e propria “ristrutturazione cognitiva” (riorganizzazione delle rappresentazioni mentali e delle strutture di conoscenza) della situazione presente sino alla creazione di nuovi costrutti e categorie concettuali (considerando che lo sviluppo dell’individuo si basa sui processi interpersonali, favorire i cambiamenti significa per il leader agire nell’ambito delle relazioni con precisi schemi comportamentali mirati a cambiare i Modelli Operativi Interni dei singoli e dunque dell’organizzazione);

creazione di coinvolgimento;

profondità di visione: saper valutare adeguatamente le caratteristiche culturali interne ed esterne all’organizzazione, al fine di costruire gli strumenti più adatti per fronteggiare la competizione (qui si tratta di gestire la relazione di attaccamento).

E’ evidente dunque come tra le competenze fondamentali del leader sia essenziale la gestione delle risorse umane, e quindi delle relazioni di attaccamento. E’ necessario che il leader agisca da caregiver, intravedendo e monitorando ciò che è necessario per la sopravvivenza del gruppo e dunque anche del singolo (sensibilità materna, o meglio, sensibilità del caregiver).

L’importanza del legame di attaccamento dell’adulto all’interno di un’organizzazione non è ben visibile soltanto dal punto di vista del leader, ma anche di quello del singolo. Per comprendere adeguatamente la complessità del suo legame di attaccamento all’organizzazione è necessario allargare il campo di osservazione fino ad includere tutti gli aspetti dell’organizzazione, in quanto il contesto in cui si evolve tale relazione potrebbe esercitare più influenza su tale rapporto rispetto alle caratteristiche individuali del singolo.

Alcune caratteristiche della situazione di attaccamento del singolo all’organizzazione sono:

  1. le manifestazioni dell’attaccamento sono accessibili all’osservazione in tempi prolungati; un’osservazione di breve periodo può essere fuorviante;
  2. il comportamento di attaccamento è accentuato nelle situazioni percepite come minacciose;
  3. il comportamento di attaccamento, se forte, è incompatibile con un comportamento esplorativo (es. ricerca di un nuovo impiego);
  4. il comportamento di attaccamento, in situazioni sostenute dall’oggetto di attaccamento, può favorire e facilitare i comportamenti esplorativi (es. ricerca di nuove soluzioni, di nuovi sponsor, di nuovi prodotti), purché non ci sia alcuna minaccia di separazione;
  5. nel corso di una assenza prolungata dell’oggetto di attaccamento (es. stato di cassa integrazione del singolo, mancanza prolungata del leader) il comportamento di attaccamento può diminuire o addirittura scomparire, ma ciò non significa necessariamente che sia effettivamente diminuito; il comportamento di attaccamento riemergerà probabilmente in pieno o in misura addirittura accentuata alla riunione, con o senza ritardo.

 

Le funzioni aziendali che possono riconoscersi nella definizione di figure di attaccamento rivestono ruoli diversi tra loro:

  1. la figura di attaccamento principale (quella che nel bambino è ricoperta dalla madre, che lo svezza): il leader di fatto, l’addetto alla comunicazione, ecc…
  2. chi riveste un ruolo gestionale adottando una modalità di comportamento complementare e di verifica (nel bambino è il padre): i gestori dell’azienda, gli azionisti, il consiglio di amministrazione, ecc…
  3. la “famiglia allargata”: opinionisti occasionali, interessati, ecc…

 

Il singolo, quindi, inizia la propria esistenza allargando immediatamente il numero degli interlocutori più di quanto accada ad un bambino che, generalmente, nei primi tempi resta sotto l’ala protettrice di poche persone. Il singolo è precoce, e il suo percorso esistenziale si popola presto del pubblico esterno, affrancandosi dal dialogo stretto con le figure di attaccamento. Entra il contatto, in una prima fase, con il mondo aziendale allargato (dipendenti, fornitori, distributori) e più avanti con la realtà esterna (analisti, concorrenti, clienti, media, interlocutori generici). Egli è perciò subito protagonista, si offre al mondo e nel contempo acquisisce informazioni. Queste informazioni, provenienti prima dall’interno dell’azienda e poi dall’esterno, faranno evolvere il rapporto tra il singolo ed il gruppo gestore.

La risposta da parte delle figure di attaccamento si manifesta in modo differenziato a seconda delle esperienze avute con altri dipendenti, dalla capacità di osservare altre realtà, dalla provenienza in termini di formazione ed esperienze professionali, dalla possibilità del leader di agire e dal clima in seno al gruppo gestore. Insomma, è in questa fase che ci si accorge che tipo di “genitori” ha il singolo.

Generalmente, chi si occupa dello svezzamento è impegnato a stimolare atteggiamenti di acquisizione di regole e di protezione nei confronti delle insidie interne ed esterne all’organizzazione, mentre i ruoli gestionali tenderanno a stimolare l’interazione con i colleghi ed il mondo esterno per acquisire la “prova” delle capacità del singolo. Si forma dunque un rapporto di reciprocità tra il singolo e le figure di attaccamento che governa soprattutto i processi di acquisizione ed elaborazione delle informazioni. I modelli di relazione, in questa fase di sviluppo, sono alla base della definizione del rapporto di reciprocità (cosa offre il singolo? Cosa offrono al singolo le figure di attaccamento?). Ci si preoccupa soprattutto di quanto e di come la singola tipologia di figura di attaccamento interagisce con il brand nei momenti il cui il brand “ha bisogno di aiuto”. La maggior parte dei brand storici presenti sul mercato ha potuto beneficiare di un gruppo di gestione capace di ottima reciprocità. Parecchi grandi brand sono nati in periodi e situazioni favorevoli per lo svezzamento a carico dei gruppi di lavoro di lungo corso con esperienze consolidate e un ambiente interno favorevole per la sperimentazione e per l’assunzione di rischi, situazioni cioè che favorivano la corretta attività esplorativa del singolo.

Tutto ciò porta a riflessioni ulteriori. Si consideri una tipica interazione propria dell’attaccamento: una persona fa una richiesta di maggiore affetto o di vicinanza emotiva all’altra persona, la quale, a sua volta, può ricambiare questa richiesta, rifiutarla o screditarla non riconoscendola in quanto tale. Ovviamente, il problema della reazione del primo soggetto sorge in questi ultimi due casi; cosa accade dunque in una organizzazione quando una richiesta emotiva è rifiutata o disconosciuta?

Se un soggetto prova ad essere un accuditore o un obbediente e ciò non ha alcun effetto sulla sua relazione con le figure di attaccamento, con il tempo la sua situazione potrebbe divenire di autosufficienza compulsiva; ci sono dunque alcune probabilità che quel soggetto, dopo aver fatto di tutto ed essersi accorto che ciò non ha funzionato, ne deduca che è un suo problema, che dipenda da lui perché incapace di stare in relazione, e dunque decida di fare, da quel momento in poi, tutto ciò che vuole per conto suo, facendo affidamento solo su se stesso. Insomma, diventa compulsivamente autosufficiente, e nascono problemi sociali quali l’alienazione (qui intesa come allontanamento o estraneazione, quindi atto di prendere psicologicamente distanza dal lavoro), la demotivazione e la disaffezione al lavoro

Il meccanismo dell’attaccamento funziona anche al contrario: non sono pochi i casi in cui, per il grande legame di attaccamento verso la propria azienda ed il proprio business, i leader o i fondatori non si ritirano dalla vita manageriale fino alla morte o fino al ritiro obbligatorio, e cercano di rendersi indispensabili per mantenere il proprio posto.

Laura Liguori, maggio 2012

Laura Liguori. Laura Liguori è dottoressa in Scienza dell’Amministrazione e collabora alla docenza all’Università degli Studi della Tuscia per la cattedra di Psicologia delle Organizzazioni.

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