Efficienza decisionale Problem Solving e Formazione

I vantaggi della formazione sull'impiego di strategie vigilanti nel processo decisionale

di Mirko De Vita (**). Dottore in psicologia. Firenze

Tratteremo in questo articolo l’importanza dell’utilizzo e della formazione sull’impiego di strategie vigilanti nei processi decisionali, atte ad integrare al meglio le capacità delle risorse organizzative e a ridurre il verificarsi di errori nella valutazione informativa, nella deliberazione decisionale e nella programmazione.

A partire dai pioneristici studi condotti da Irving Janis sulla gestione di crisi internazionali da parte di leader politici di otto amministrazioni americane emerge un modello teorico per l’interpretazione dei processi di decisione politica e manageriale che tiene conto di un gran numero di ricerche e contributi provenienti da diverse discipline (Janis 1989). Già in Administrative Behavior (1976) Herbert Simon parte dall’assunto che non sempre gli individui impostino i processi decisionali in modo razionale. Dallo studio delle procedure abitualmente utilizzate è emerso che un buon dirigente può svolgere un efficace processo di problem solving ma Simon conclude che un’impostazione oggettivamente razionale non può comunque essere condotta sino in fondo, a causa dei limiti di conoscenza e di capacità degli esseri umani. Per quanto ci si impegni a prendere una decisione di elevata qualità quindi lo si farà immancabilmente con una certa approssimazione, rispetto ai corretti requisiti posti da un modello normativo di pura razionalità (Simon 1976).

Noto per i suoi fondamentali apporti nello studio del groupthink, Janis sviluppa i contributi di Simon ed elabora un procedimento che chiamerà Strategia vigilante del problem-solving, atto ad integrare al meglio le capacità, seppur limitate, delle risorse organizzative come a ridurre il verificarsi di errori nei momenti essenziali della raccolta di informazioni, della deliberazione e della programmazione. In base ad un’ampia rassegna della letteratura sui processi decisionali individuali e di gruppo in organizzazioni diverse (governi, aziende, enti pubblici e privati), saranno in seguito individuati sette criteri procedurali standard per una corretta esecuzione del compito (Janis e Mann 1977):

  1. Definizione degli obiettivi
  2. Generazione, analisi e valutazione di linee di azione alternative
  3. Ricerca continua ed approfondita di dati per la valutazione delle alternative possibili
  4. Un’attenzione rivolta a nuovi dati o a giudizi esperti anche se non incoraggianti una lineapreferita
  5. Una rivalutazione delle conseguenze negative e positive delle alternative possibili prima dicompiere una decisione definitiva (analisi degli scenari)
  6. Una presa in esame dei costi e delle conseguenze emergenti negli scenari dalle singolealternative possibili
  7. L’attuazione e la supervisione della linea decisa con piani operativi speciali da attuare in casidi rischio per il verificarsi di imprevisti, sviluppo e prevenzione di scenari indesiderati.

Contemporaneamente alla ricerca di Janis, si sono visti succedere nuovi contributi perlopiù indipendenti. Richard Larrick fa notare come la ricerca sui processi decisionali abbia vissuto una vera e propria esplosione nelle ultime decadi (Larrick 2016). Da una visione razionale sulla presa di decisioni basata su una raccolta di informazioni completa e una massimizzazione del risultato in termini quantificabili si è passati ad una graduale visione sistematica dei suoi limiti che ha offerto un’estesa comprensione dei processi cognitivi che ne sono alla base. Kahneman spiega come una

grande quantità di questi processi dipendono da reazioni emotive veloci ed intuitive che promettono a questi processi una certa efficienza ma espongono altrettanto a bias cognitivi, errori sistematici che cominciano ad essere ben documentati nei più svariati campi: dalla psicologia delle organizzazioni alla strategia, dalla medicina al marketing ed alla finanza (Kahneman 2011).

Per quanto riguarda il supporto decisionale in ambito politico e manageriale molti di questi studi si sono concentrati sulle fasi di analisi e valutazione delle informazioni richieste dal decisore politico. La ricerca condotta da Heuer durante il suo operato presso agenzie governative statunitensi comprende otto aree di intervento della psicologia cognitiva a supporto del decision making politico-istituzionale ed organizzativo e si riassume con numerose tecniche strutturate di analisi dei processi cognitivi implicati nella valutazione delle informazioni (Heuer 1999; Heuer e Pherson 2012).

Nel modello di Janis e nei suoi successivi sviluppi si mostra un’elevata fiducia nell’agire razionale del decisore o del gruppo specie se supportati da strumenti atti al miglioramento del processo decisionale. Se dedicare troppo tempo e attenzione alla decisione ed alle sue procedure potrebbe da una parte portare ad un deterioramento della performance, dall’altra è importante notare come quanto sottolineato da Janis sia attuale non solo nel mondo della ricerca ma anche nell’attuale dibattito politico. La storia è densa di eventi in cui decisioni intraprese si sono rivelate pericolosamente errate, sia ciò accaduto per un’insufficiente considerazione delle alternative possibili che per un’inadeguata valutazione delle loro conseguenze.

Il rischio di giungere a decisioni sbagliate (e fallimentari) è più elevato quando si abbandonano procedure vigilanti di problem solving. Gli elementi che possono intervenire nell’influenzare il successo di una determinata decisione sono numerosi (fattori ambientali, casualità e altri elementi più difficili da determinare) ma i risultati della ricerca empirica promuovono l’opinione sempre più diffusa che vi sia una relazione significativa tra l’impiego di modelli analitici di procedure vigilanti e qualità degli esiti della decisione intrapresa (Eisenhardt e Zbaracki 1992; Tasa e Whyte 2005, Zappalà e Fraccaroli 2008).

Un programma di formazione sull’impiego di tecniche analitiche e strategie vigilanti nei processi decisionali può contribuire in modo determinante alla qualità dei loro esiti in modo diretto, chiaro e verificabile. Ciò richiede naturalmente il coraggio iniziale di mettere in discussione abitudini di scelta e punti di riferimento preesistenti, allenandosi alla riflessione e al ragionamento in nome del pensiero critico. Non una propensione a criticare a prescindere quindi ma quella capacità promossa dal World Economic Forum nel suo report sul futuro del lavoro al secondo posto tra le competenze trasversali che saranno più richieste dal 2020 per mantenere competitività. Seguita da giudizio e decisione che, promossi in graduatoria dall’ottavo al settimo posto, ancora una volta si mostrano essenziali.

“Scegli sempre il cammino che sembra il migliore anche se sembra il più difficile. L’abitudine lo renderà presto piacevole.”

(Pitagora)

 

(**) Mirko De Vita è consulente in scienze cognitive e comportamentali. Dottore magistrale in psicologia, svolge attività di ricerca-intervento sui processi di analisi delle informazioni, strategie decisionali e dinamiche di comportamento sociale, individuale e di gruppo.

 

Bibliografia

Croskerry P., (2003). The importance of cognitive errors in diagnosis and strategies to minimize them. Academic medicine, Vol. 78, n.8.

Del Missier F., Mäntylä T., e Bruine de Bruin W. (2012). Decision making competence, executive functioning, and general cognitive abilities. Journal of Behavioral Decision Making, n.25:331–351.

Eisenhardt K.M., Zbaracki M. (1992). Strategic decision making. In “Strategic Management Journal”, n.13:17-37.

Gettys C. et al. (1980). Hypothesis Generation: A Final Report on Three Years of Research. Technical Report 15-10-80. Decision Processes Laboratory, Department of Psychology, University of Oklahoma, OK.

Heuer R.J. Jr. (1999). Psychology of intelligence analysis, Center for the Study of Intelligence, Washington, D.C.

Heuer R.J. Jr., Pherson R.H. (2011). Structured analytic techniques for intelligence analysis, CQ Press, Washington, D.C.

Janis I.L., Mann L. (1977). Decision making: A psychological analysis of conflict, choice, and committment. Free Press, New York.

Janis I.L. (1989). Crucial decisions. Leadership in Policymaking and Crisis Management. The Free Press. A Division of Macmillan, Inc. New York. Ed. it. Scelte Cruciali. Come migliorare la qualità della leadership e delle decisioni in politica, in economia e nelle istituzioni. Giunti, Firenze (1992).

Kahneman D. (2011). Thinking, Fast and Slow. Macmillan, New York. Ed. italiana, Pensieri Lenti e Veloci, Mondadori, Milano (2012).

Larrick R.P. (2016). The Social Context of Decisions. Annual Review of Organizational Psychology and Organizational Behavior. n.3:441–67.

Simon H.A.(1976). Administrative Behavior: A study of decision-making processes in administrative organizations (3a ed.). Free Press, New York.

Tasa K., Whyte G. (2005). Collective efficacy and vigilant problem solving in group decision making: A non-linear model. In “Organizational Behavior and Human Decision Processes”, n.96:119-129.

Zappalà S., Fraccaroli F. Decisioni di gruppo. In Bonini N., Del Missier F., Rumiati R. (2008), Psicologia del giudizio e della decisione. Il Mulino, Bologna.

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