Le fallacie: una introduzione ai più comuni inganni dell’argomentazione
La logica si occupa della validità degli argomenti. Può essere deduttiva, dal generale al caso particolare, o induttiva, dal particolare al generale.
di LUCIO RIZZOTTO (Prof. di Storia e Filosofia)
La logica si occupa della validità degli argomenti. Può essere deduttiva, dal generale al caso particolare, o induttiva, dal particolare al generale. Secondo Aristotele, che si può ritenere il fondatore di questa disciplina (Organon, Adelphi Edizioni), la logica è formale, cioè si occupa della validità, della correttezza degli argomenti, non della loro verità. Se tutti gli uomini giocano a calcio e io sono un uomo, io gioco a calcio: è un ragionamento corretto dal punto di vista logico-formale, ma non vero in quanto io non gioco a calcio: la verità di una conclusione è legata non solo alla logica, ma anche alla verità delle premesse. Se le premesse sono vere e il ragionamento è logico, anche le conclusioni sono vere.
La logica deduttiva, specie la sillogistica, è estremamente rigorosa, ma poco adatta alle discussioni comuni, dove usiamo un procedere più approssimato. Questo fa sì che cadiamo spesso in fallacie, cioè argomenti che sembrano logici – questa è la ragione della loro efficacia – ma contengono errori anche gravi.
Un elenco, molto sommario, delle più comuni fallacie di ragionamento può essere utile per migliorare il nostro livello di discussione e soprattutto capire i “trucchi” di parole con cui spesso la gente viene imbrogliata.
Fallacie di ambiguità (ambiguità di termine, di posizione, di enfasi)
Ambiguità di termine
L’ambiguità è una delle principali fonti di ragionamenti fallaci. Un termine è ambiguo se ha più di un significato. Se per esempio dico “Giovanni ha un buon cuore” non è chiaro se intendo “cuore generoso” o “cuore forte”. Il termine cuore è quindi ambiguo: qualità del carattere o organo anatomico? Questa ambiguità mi può spingere a conclusioni fallaci.
In realtà anche se le parole hanno più significati, il contesto chiarisce qual è il significato inteso. La confusione nasce solo quando, nel contesto, non possiamo dire qual è il significato preciso, o quando si usa una parola con più sensi nel corsi di un argomento. Ad esempio “Fine di una cosa è la sua perfezione, la morte è fine della vita, quindi la morte è perfezione della vita.”: qui usiamo fine come “scopo” (il fine) e conclusione (la fine), e questo porta a una conclusione fallace. Questi tipo di fallacia di ambiguità si chiama equivocità o equivocazione (un termine equivocato: “Egli spiegò le vele al vento, ma il vento non capì” equivoco sul significato di “spiegare”; “Ho vinto un soggiorno a Parigi, ma non ho il furgone per andarlo a ritirare” equivoco sul termine “soggiorno”. Si prestano agli equivoci i termini relativi (es. “buono” relativo al tipo di attività; o “piccolo” relativo alla grandezza standard: “è un buon studioso, quindi un buon insegnante” oppure “ gli elefanti sono animali, quindi gli elefanti piccoli sono animali piccoli”: entrambi ragionamenti fallaci per ambiguità dell’aggettivo che cambia significato a seconda di ciò a cui si riferisce: buon padre e buon giocatore sono concetti diversi di buono. Ne consegue che è necessario, specie se si usano termini astratti (responsabilità, libertà, buon comportamento, ecc. ) specificarne bene il significato che si dà loro.
Un altro tipo di fallacia basato sull’ambiguità si ha quando è ambiguo l’intero enunciato, e non qualche singola parola. Può accadere che nessuna parola sia ambigua e tuttavia lo sia l’intero enunciato a causa della sua struttura grammaticale. “Contadino si uccide dopo un addio alla famiglia con un colpo di fucile” è un titolo ambiguo: si uccide con un colpo di fucile o dà l’addio alla famiglia con il colpo di fucile? Si possono fare entrambe le connessioni grammaticali. “Se Creso fa guerra a Ciro distruggerà un potente impero”: oracolo ambiguo: in ogni caso distrugge un impero, sia che vinca, sia che perda, infatti non è chiaro quale impero venga distrutto, il suo o quello del nemico. Questo tipo di ambiguità viene chiamata, dai logici, anfibolo. Un famoso anfibolo è la frase “La vecchia porta la sbarra”: cogliete i due significati diversi?
Molto ambiguo può essere l’uso della negazione. Ad esempio la frase “Tutti gli studenti non sono arrivati” può significare “Alcuni studenti” o “nessun studente”; vedi “tutti gli studenti non sono arrivati, ne mancano alcuni” oppure “tutti gli studenti non sono arrivati e l’aula è vuota”.
Ambiguità di contesto
Alcuni tipi di fallacia molto diffusi dipendono non da scorrettezze formali o termini equivoci, ma dal contesto in cui l’espressione viene inserita. Il contesto sembra suggerire che l’espressione abbia un particolare significato, ma in realtà essa potrebbe anche non averlo affatto, cosicché può facilmente indurre chi lo ascolta o lo legge in errore. Una fallacia contestuale comune è la scorretta enfasi su alcune parole dell’enunciato (fallacia di enfasi). “Oggi il professore non è ubriaco” è una frase corretta, ma porta a pensare che gli altri giorni il professore fosse ubriaco: l’enfasi su oggi (che diventa limitativo oltre che temporale) lo fa supporre! Una domanda come “Puoi affermare con sicurezza che non sei stato tu a rompere il vetro?” è maliziosa: suggerisce che puoi essere stato tu. Osserva questa frase “Noi non dovremmo parlare male dei nostri amici”: a seconda di dove si ferma l’accento cambia l’implicazione: se su noi, suggerisce che gli altri lo fanno; se su non dovremmo, suggerisce che lo stiamo facendo, e così via.
L’enfasi è particolarmente usata negli annunci pubblicitari: Sconti fino all’80%! fa pensare che ci siano forti sconti generalizzati mentre ci può essere un solo articolo allo sconto dell’80% e il resto a molto meno!
L’enfasi può far pensare che una informazione sia eccezionale, quando non lo è: Tutto pieno di morti, il cimitero di Sesto!; Puro miele centrifugato (tutto il miele è centrifugato); Più latte e meno cacao (fa sembrare un pregio avere meno cacao, quando in realtà è un difetto: è il cacao il materiale pregiato e costoso!).
Ambiguità di senso
Un’altra diffusa fallacia di contesto consiste nel darti delle informazioni parziali che possono fuorviare (fallacia di senso): “Il 28% degli abitanti di Sesto ha i denti cariati” prima di renderti conto del “senso” di questa considerazione (se cioè sia tanto o sia poco) bisognerebbe paragonare Sesto con una città della medesima dimensione per vedere se essa ha una percentuale più alta o più bassa di persone con disturbi ai denti. “Il 65% dei dentisti che usano lo spazzolino elettrico, usano XX” questa pubblicità porta a pensare che siano tanti i dentisti che usano XX, mentre non è scontato (il 65% non è sulla totalità dei dentisti, ma sui dentisti che usano lo spazzolino automatico, inoltre non è detto che usino solo o continuativamente XX.).
“Sono arrivato 17^ “ è un dato insufficiente per una conclusione: bisogna considerare il numero totale dei partecipanti.
La “citazione fuori contesto” consiste nel riportare esattamente, ma fuori del contesto originario, delle frasi, facendo loro cambiare significato. “Non ti voglio più in classe se continui a disturbare!”; il professore mi ha detto che non mi vuole più in classe. Infatti ogni discorso ha senso nel contesto in cui si trova, omettendo parte del contesto o non riportando alcuni dati rilevanti, è molto facile manipolarne il senso generale.
Fallacie per rilevanza (argomenti non pertinenti)
Si hanno queste fallacie quando per controbattere un argomento si portano ragioni, anche vere, ma irrilevanti, non pertinenti alla discussione o che sviano l’attenzione dal punto principale.
Fallacia dell’ “argomentum ad personam” (uso le definizioni latine data dagli scolastici medioevali) si ha quando l’argomentazione è diretta contro una persona, piuttosto che contro ciò che la persona dice, allo scopo di dimostrare che ciò che dice non può essere vero.
“Non è vero quello che dice contro il fumo, visto che fuma anche lui”: in questo caso il fatto che chi sostiene i danni del fumo sia lui stesso un fumatore, non toglie validità agli argomenti, eventualmente si può dire che è incoerente, ma questo non è rilevante nella bontà o meno dei suoi argomenti. Di questo tipo sono le fallacie circostanziali, che cioè si basano su circostanze irrilevanti: a chi lo accusa di uccidere animali per divertimento, un cacciatore risponde “Non puoi parlare tu, che mangi la carne!” ignorando che le due circostanze (il nutrimento e il divertimento) sono molto diverse.
Argomentum ad autoritatem: quando, per sostenere un argomento, si fa riferimento non a ragioni, ma al fatto che un personaggio “autorevole” sostenga la stessa cosa: “è giusto così perché l’ha detto anche il professore”; “ E’ proprio vero perché l’ho sentito dire alla televisione”; “Lo dicono tutti che….”; “Te lo assicuro io che ne so più di te !”
Argomentum ad misericordiam : quando si usano argomenti per impietosire l’interlocutore. “Non mi può dire che questo compito è sbagliato: ho studiato fino a mezzanotte e quando l’ho fatto stavo male”. Naturalmente il fatto che uno stia male quando fa un compito ha una sua importanza, ma non nella argomentazione sulla correttezza o meno della prova.
Argomentum ad ignorantiam: quando si sostiene che alcuni asserti sono necessariamente veri perché non vi sono prove in contrario. Ma non basta per provare che un’idea è vera, mostrare che non esistono elementi contrari; dobbiamo anche dimostrare che abbiamo elementi concreti in suo favore, altrimenti potremmo dimostrare che draghi, streghe, elfi esistono perché non abbiamo nessuna prova che non esistono. “Non vi sono prove che io non so fare gli esercizi, quindi io li so fare”, “Nessuno mi ha visto in bicicletta, quindi non ce l’ho”.
Tutte queste fallacie portano argomenti non rilevanti, non importanti sotto il profilo logico, ma che possono sviare l’attenzione dal punto essenziale. Inoltre, come tutte le fallacie, imitano delle procedure corrette, ma qui usate a sproposito: l’argomento ad personam e ad autoritatem ricalca il problema della affidabilità di chi parla, della sua coerenza e della sua autorevolezza. Ma questi aspetti non hanno molto a vedere con la correttezza degli argomenti. Gli argomenti ad misericordiam toccano il problema del contesto e delle circostanze, gli argomenti ad ignorantiam usano, in modo sbagliato, l’esigenza di portare delle prove per sostenere una affermazione (ma le usano in maniera illogica: nessuno dice il contrario, quindi è vero: ma non è così!)
La falsa analogia si ha quando si scambiano situazioni apparentemente simili: “I medici più illustri, quando devono affrontare un caso, consultano i loro trattati, perché io non posso consultare il manuale quando faccio il compito?”, “ Studiare costa fatica come lavorare, chi lavora è pagato, anche chi studia deve essere pagato”, “ Mi ha investito in bicicletta, mi ha fatto male e ora mi paga il danno: il dentista mi fa male, quindi deve pagarmi” Sono tutte situazioni solo apparentemente uguali, ma nella sostanza molto diverse: basti considerare che chi lavora produce per un altro, chi studia per se stesso!
L’argomentum ad consequentiam (appello alle conseguenze) consiste nel sostenere che una proposizione è falsa (o vera) sulla base del fatto che la proposizione stessa avrebbe cattive (o buone) conseguenze, senza provare o sostenere con evidenza il legame consequenziale. “Se ti lascio oggi stare fuori con i tuoi amici fino alle 11, tu poi vorrai stare fuori fino a mezzanotte, e poi fino all’una. E vorrai così tutti i giorni e non studierai più”. L’argomento sposta l’attenzione su effetti negativi non dimostrati ed evita di discutere sul caso concreto.
Fallacie di composizione e di divisione (generalizzazioni improprie)
Si hanno quando si attribuisce all’insieme le caratteristiche di un elemento che lo compone (composizione) oppure, viceversa, quando si attribuisce ad un elemento le caratteristiche dell’insieme a cui appartiene (divisione).
“Giuseppe è bravo in matematica e fa parte delle classe 4B, quindi la 4B è brava in matematica.”
“La 4B è una classe brava, quindi anche Giovanni, della 4 B, è bravo”, “Sesto è un paese ricco, quindi ogni sestese è ricco”, “Ogni pezzo di questa macchina è leggero, quindi questa macchina è leggera”, “Gli ingredienti di questa ricetta sono tutti buoni, quindi il risultato è buono”.
Infatti non sempre le caratteristiche di un elemento di un gruppo sono del gruppo intero, e viceversa: la Svizzera è un paese ricco non significa che ogni svizzero è ricco, la Sicilia è terra di mafia non significa che ogni siciliano sia mafioso. Questa fallacia è usata spessissimo per alimentare pregiudizi.
Conclusione non pertinente (non sequitur)
Si ha quando il ragionamento arriva a una conclusione infondata, non conseguente. “Se vuoi avere tanti soldi, applicati a scuola, studia, così avrai un buon punteggio al diploma”, ma avere un buon diploma non comporta avere tanti soldi!
“Se non mi telefoni vuol dire che non mi ami”, ma telefonare spesso non significa necessariamente amare! In senso ampio tutte le fallacie comportano un “non sequitur”.
La “petitio principii” o argomento circolare
Si ha una petitio principii quando lo stesso asserto viene usato come premessa e come conclusione di una argomentazione, oppure quando non si può sapere se una delle premesse è vera a meno che non si presuma fin da prima che sia vera la conclusione. “Le persone furbe studiano molto – Chi sono le persone furbe? – Quelle che usano bene il loro tempo – Cosa vuol dire usare bene il proprio tempo? – Chiaro: studiare molto!”
“Quel giornale è assolutamente affidabile – Mi fido pienamente di quello che vi è scritto – E sono bene informato su ogni cosa – Come fai ad esserne sicuro? – Perché l’ho letto nel giornale”.
Fallacia per asserzione presupposta – plurimum interrogationum (più domande in una)
Si pongono delle domande che presuppongono, senza dirlo esplicitamente, quello che si vuole dimostrare: “C’era tanta gente alla festa ieri?”, ma in realtà io voglio sapere se tu eri o no andato alla festa. “Preferisci lo studio o il divertimento?” chi domanda (e chi risponde senza contestare la domanda) presuppone che studio e divertimento siano divisi. “Preferisci l’uguaglianza o la libertà? Sei con gli Israeliani o con i Palestinesi? Chi pone queste domande dà per scontato che ci siano solo due opzioni e che siano alternative e vuole chiudere l’interlocutore in questa posizione: io invece posso volere sia l’uguaglianza che la libertà; io posso essere né con gli israeliani, né con i palestinesi, oppure in alcuni aspetti con gli uni o con gli altri. Spesso, purtroppo, nella dispute si ricorre a questi presupposti (sei con noi o con loro?) per costringere a schierarsi senza distinguere o ragionare sui singoli problemi (questo lo dicono loro, ma tu sei con noi o con loro? Presupponendo che se non si accetta senza discutere “tradisci”). L’accusa di essere un traditore che è rivolta a chi fa delle critiche è molto comune, e generalmente ha lo scopo di evitare di affrontare le critiche nel loro merito.
Fallacie statistiche
Si dice che “con le statistiche si può provare tutto”, nel senso che è molto facile usare i dati in maniera tale da produrre induzioni errate, specie in un interlocutore poco esperto. Basta sentire dei dibattiti tra avversari politici: ognuno porta dei dati che sembrano dargli ragione. In realtà l’uso di dati è estremamente importante per una argomentazione, ma bisogna usarli bene e non in maniera manipolativa.
Alcune della fallacie statistiche più comuni: la falsa correlazione e la falsa causa.
Si ha falsa correlazione, quando si deducono relazioni causali (A è causa di B) in maniera sbagliata. Una storiella: due filosofi decidono di scoprire il perché continuano ad ubriacarsi applicando un metodo statistico. Si recano nel loro locale preferito e pranzano bevendo molti scotch con acqua. Si ubriacano e devono essere portati a casa. La notte successiva fanno ancora lo stesso, variando solo le bevande: grappa e acqua. Si ubriacano. Ripetono l’esperimento, questa volta bevendo vodka e acqua: stesso risultato. Quindi deducono che, poiché l’acqua è stato l’unico fattore costante delle loro cene, è stata l’acqua ad ubriacarli! Hanno ovviamente correlato le due variabili sbagliate! Un altro episodio, meno divertente: un razzista sostiene che poiché nelle carceri americane ci sono tanti condannati di colore, è dimostrato che il colore della pelle porta ad essere criminali. In realtà non tiene conto che la povertà è più diffusa tra la popolazione di colore, e che la popolazione carceraria è formata prevalentemente da poveri, quindi è forse più corretto dedurre una correlazione tra povertà e carcere.
Facciamo un altro esempio: partendo dal dato che chi usa eroina o altre droghe “pesanti” fa uso o ha fatto uso anche di cannabis (spinelli o hashish), qualcuno deduce che la cannabis porta all’uso di droghe pesanti, e quindi è utile proibirla. Il ragionamento ha alcune fallacie evidenti: il fatto che tutti gli eroinomani usano spinelli, non significa che tutti gli spinnellari siano o diventino eroinomani (medio non distribuito), inoltre non è dimostrata la causalità (falsa causa): non è evidente che perché chi ha fatto uso di spinelli poi è diventato tossicodipendente. Se si completano i dati si vede che tutti gli eroinomani abusano anche di tabacco, alcool, caffè, psicofarmaci (cioè sostanze psicotrope). Diventa forse più plausibile che il tossicodipendente abusi di tutte le sostanze psicotrope, cioè che l’abuso di sostanze sia una conseguenze di una causa comune, non che ci sia un rapporto causale tra le varie sostanze. Questo non significa che uno non possa sostenere che gli spinelli siano da proibire, ma che non può motivare con questo argomento la sua tesi.
Si ha una falsa causa quando si scambia un rapporto temporale (post hoc) per un rapporto causale (propter hoc): “Dopo che sei arrivato si è rotto il vetro, quindi tu hai rotto il vetro”; “Dopo che ho studiato guardo la televisione, quindi lo studio fa guardare la televisione” (e, come conseguenza, se studiassi meno, guarderei meno la televisione)
Ovviamente ci sono anche i veri e propri inganni statistici (es. se il prodotto industriale italiano di un anno cala del 50% rispetto all’anno precedente, e l’anno successivo aumenta del 50%, si fa credere che si è pareggiato!). Un inganno statistico molto semplice ed efficace è alternare valori percentuali e valori assoluti o non specificare bene a cosa le percentuali si riferiscono: il 90 % di chi usa X è soddisfatto, un grande risultato che dimostra che la maggioranza dei consumatori è entusiasta del nostro prodotto!. Si fa credere che la maggioranza dei consumatori usa X ed è contenta. Ma in realtà non sappiamo quanti usano X, e se lo usano è ovvio che siano contenti, perché gli scontenti presumibilmente non lo usano più!
Dialoghi e dispute, pubblicità, informazione
Le fallacie possono inserirsi in ogni forma di comunicazione e per primo, duemila anni fa, le ha analizzate Aristotele nelle “Confutazioni sofistiche” (un libro che fa parte dell’Organon, l’opera di logica) dove svelano i trucchi usati dai sofisti nell’argomentare.
Ma la nostra epoca, definita “della comunicazione” per l’importanza cruciale che essa ha assunto (internet, mass media, globalizzazione) le fallacie sono frequentissime, insidiose e dannose. Sono spesso usate nella pubblicità e nella politica, in ambiti in cui si vuole condizionare o addirittura manipolare il cittadino e il consumatore. La politica e l’informazione alle volte sono avvelenate dall’intento di condizionare e non di correttamente informare, e a questo scopo le fallacie sono indispensabili. In politica spesso di parla di dialogo, ma si intende disputa: nel dialogo gli interlocutori sono aperti sinceramente alle ragioni degli altri e disponibili a cambiare opinione se convinti, nella disputa ognuna delle parti difende le opinioni che non è disponibile a cambiare, e lo scopo è di convincere un terzo (es. il telespettatore nei “dibattiti” televisivi) con qualsiasi mezzo, ad esempio interrompendo continuamente l’interlocutore, sviando gli argomenti, ecc. Nelle dispute spesso si usano argomenti ad personam (“demonizzare l’avversario”), fallacie di contesto (non riportare con onestà tutti i dati, ma solo quelli che fanno comodo) o la tecnica dello spaventapasseri (strawman secondo i logici americani). Essa consiste nel fornire una versione caricaturale e deformata delle posizioni dell’interlocutore, per poterlo demolire meglio, in tal modo egli è costretto continuamente a precisare i propri argomenti e non ha spazio per discutere quelli dell’interlocutore. Ad esempio gli avversari all’eutanasia possono dire che con la sua introduzione i medici potrebbero uccidere chiunque, che i familiari sarebbero spinti a sbarazzarsi dei congiunti ammalati, che i malati sarebbero spinti a chiedere la morte per non spendere in medicine, e che i disabili e gli invalidi sarebbero soppressi. Tutto questo è uno strawman (uno spaventapasseri per spaventare l’opinione pubblica). Nessun sostenitore dell’eutanasia dice questo, ma agli avversari fa comodo che la gente lo creda. Nello stesso tempo i sostenitori dell’eutanasia (che, c’è da ricordare, è ammessa per legge in alcuni paesi europei, come l’Olanda e la Svizzera, purchè ci sia una situazione di finevita – ovvero malattia terminale senza speranza di guarigione – e la richiesta consapevole e libera del malato) devono perdere tempo per difendersi da queste accuse infamanti.
In definitiva esistono moltissimi tipi di fallacie, alcune sono semplici e facilmente individuabili, altre invece sono più subdole e più difficili da smascherare, per cui bisogna essere sempre attenti nell’esaminare criticamente ogni forma di comunicazione.
Per approfondimenti si consiglia:
D’AGOSTINI, F. (2010). Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico. Bollati Boringhieri, Torino.
L’autrice, che insegna filosofia all’università di Torino, analizza i metodi del corretto argomentare e le fallacie più comuni nei dibattiti pubblici italiani.
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