Psicologia organizzativa

Le prime forme di teorizzazione e studio delle diverse organizzazioni hanno cercato di evidenziare le regole esplicative per la comprensione del funzionamento delle organizzazioni, che servissero da guida per l’intervento diretto sull’organizzazione stessa. Si sono così sviluppate diverse teorie ovvero diversi approcci di studio, legati ai diversi autori e alle diverse scuole.

 

Questi studi e teorie, in via esemplificativa, si possono identificare nelle scuole di management appartenenti a:

 

1. Scuola classica
2. Relazioni umane
3. Ricerca operativa
4. Scuola neoclassica
5. Scuola dei sistemi sociali
6. Teoria dei sistemi
7. Strategie aziendali
8. Sviluppo organizzativo e arricchimento del lavoro.

 

Ampi e complessi sono gli influssi che queste scuole di management hanno avuto sulle teorie della struttura organizzativa. Ci si trova però immediatamente di fronte ad un fatto per certi aspetti sorprendente: nel campo degli studi organizzativi non avviene che teorie diverse spieghino in maniere diversa gli stessi fenomeni o problemi, ma che teorie diverse spiegano con modalità diverse, aspetti i problemi differenti delle organizzazioni.

E’ per questo che alcune teorie chiariscono in maniera molto efficace gli aspetti conflittuali delle organizzazioni, trascurando quelli cooperativi, mentre altre teorie spiegano efficacemente gli aspetti cooperativi delle organizzazioni trascurando pressoché completamente quelli conflittuali.

Analogamente alcune teorie descrivono efficacemente gli aspetti relazionali direttamente osservabili delle organizzazioni trascurando quelli che hanno le loro radici nell’inconscio individuale o collettivo, mentre altre descrivono efficacemente gli aspetti relazionali derivanti dai fenomeni intrapsichici inconsci e trascurano quegli aspetti che derivano da fenomeni relazionali direttamente osservabili. Le teorie organizzative si differenziano anche per le discipline scientifiche a cui fanno riferimento e da cui traggono le variabili e le categorie utilizzate per spiegare i fenomeni organizzativi oppure le condizioni storielle che facilitano la nascita e la affermazione di un certo tipo di teoria organizzativa. Bruscaglioni (1982) parla di ” approcci allo studio delle organizzazioni come raggruppamenti di teorie organizzative che pur differenziandosi per i loro contenuti, sono analoghe per i seguenti aspetti:

dinamiche organizzative individuate come fondamentali e parametri utilizzati per la descrizione delle organizzazioni e delle loro dinamiche; riferimenti disciplinari; concezione specifica dell’organizzazione; tipo di finalizzazione prevista per la utilizzazione dei contributi scientifici; condizioni ambientali che rendono possibile e stimolano la nascita e lo sviluppo delle teorie.

 

Quindi in uno stesso approccio vengono raggruppate:

  1. tutte quelle teorie che individuano le stesse dinamiche dell’organizzazione come fondamentali e che utilizzano gli stessi tipi di variabili;
  2. che hanno una concezione dell’organizzazione analoga di riferimento;
  3. che arrivano a conclusioni analoghe per quella che è l’utilizzazione pratica dei contributi scientifici;
  4. che nascono e si sviluppano facilitate da analoghe caratteristiche ambientali.

 

Gli approcci disciplinari che presentiamo sono cinque e li presentiamo considerando la loro concezione organizzativa e la finalità applicativa dei loro contributi scientifici.

 

Abbiamo quindi:

a) approccio alle STRUTTURE FORMALI: in questo approccio confluiscono tutte quelle teorie organizzative che approfondiscono l’analisi delle strutture formali delle organizzazioni.

b) approccio SOCIOLOGICO STRUTTURALISTA: derivato dalla sociologia strutturalista.

c) approccio PSICOSOCIALE O DEL FATTORE UMANO: teorie organizzative che applicano le conoscenze derivate dalla psicologia sociale;

d) approccio SISTEMICO FUNZIONALISTA: comprende quel gruppo di teorie che fa riferimento alla sociologia funzionalista e alla teoria generale dei sistemi.

 

1. Scuola classica

La scuola classica e le strutture a responsabilità divisa

Rappresentante più autorevole è F.W. Taylor (1856-1915) a cui si fanno comunemente risalire i principi tradizionali della divisione e organizzazione del lavoro. In realtà Taylor, pur non richiamandosi esplicitamente a precedenti teorie economiche utilizza i concetti già proposti da Smith più di un secolo prima sul frazionamento del processo produttivo in fasi elementari (da ricordare la sua descrizione della fabbrica di spilli).

Taylor, da parte sua, descrisse la convenienza di parcellizzare il processo produttivo in compiti più semplici attraverso la diminuzione del tempo di apprendimento da parte degli operai, l’abbassamento dei salari e la facilità di sostituire la manodopera. Per Taylor è sempre possibile individuare dei principi normativi di direzione (one best way) che portano a massimizzare l’efficienza produttiva.

L’essenza dell’organizzazione tayloristica è riassumibile in alcuni punti essenziali:

1. Studio scientifico dei migliori metodi lavorativi, in rapporto alle caratteristiche della macchina e del lavoratore. E’ un principio che comporta il superamento del lavoro di tipo artigianale per sostituirvi un lavoro (compito) prefissato, basato su una o poche operazioni semplici e brevi (parcellizzazione).

2. Selezione e addestramento scientifico della manodopera. L’uomo giusto al posto giusto è la nota frase che condensa questo secondo principio. Taylor raccomanda alla direzione lo studio delle conoscenze e delle abilità della manodopera per poterla collocare in modo adeguato nelle varie posizioni lavorative previste.

3. Collaborazione fra direzione e manodopera. Il consenso è ottenuto fondamentalmente attraverso la ricompensa economica e gli incentivi monetari che costituiscono per Taylor l’unica e vera motivazione per i lavoratori. Da qui il diffuso utilizzo del cottimo come modalità retributiva.

4. Ristrutturazione dell’apparato direttivo e organizzativo su tre livelli fondamentali: al livello più basso (esecutivo) sono esclusi categoricamente interventi decisionali e direzionali di qualsiasi tipo, al livello intermedio (quadri intermedi e capi di primo livello) si ha il compito di definire e migliorare le procedure operative; al livello superiore (direttivo) si interviene sul funzionamento quotidiano dell’azienda solo in casi eccezionali, dedicando il proprio tempo ai problemi sovradeterminati di strategia e programmazione aziendale.

 

2. Relazioni Umane

Approccio psicosociale del fattore umano

 

La dinamica fondamentale che nell’ambito delle organizzazioni viene studiata dall’approccio psicosociale del fattore umano è relativa all’influenza dei fenomeniriconducibili al fattore umano sulla efficienza della organizzazione, raggruppabili in tre categorie che possono essere considerate tra le più significative:

 

1° concezione dell’efficienza: l’efficienza é identificata con la produttività quantitativa in senso stretto. Si tratta di quel tipo di efficienza che é particolarmente riferibile alla situazione di un operatore la cui attivitànell’organizzazione consiste nell’esecuzione ripetitiva di una certa sequenza assolutamente prevedibile di operazioni che viene misurata col semplice indice della quantità di prodotto realizzato.

 

2° concezione dell’efficienza: efficienza come aumento della capacità dell’organizzazione e delle sue parti, di affrontare problemi di cambiamento e di gestione dell’imprevisto. L’organizzazione moderna ha sempre più bisogno di essere dinamica e flessibile e su queste caratteristiche influiscono profondamente i fenomeni del fattore umano.

 

3° concezione dell’efficienza: in questo caso sono raggruppate quelle concezioni teoriche che considerano l’efficienza globale come risultante di una efficienza di tipo tradizionale, intesa come capacità di raggiungere gli obiettivi ufficiali della organizzazione, e di una efficienza di tipo sociale che cioè tiene conto dei costi umani e sociali annoverando fra questi le frustrazioni, le aspirazioni deluse, le insoddisfazioni e gli sprechi di risorse. E’ significativo quanto dice Spaltro (Psicologia e lavoro IX n° 43 1977) a questo proposito “… la produttività nonaumenta soltanto conquistando i mercati esterni, ma conquistando il mercato interno cioè le esigenze dei lavoratori e le loro legittime aspirazioni ad una democrazia sul lavoro… “.

 

Presentiamo ora alcuni, fra i più importanti elementi che costituiscono il cosiddetto fattore umano della organizzazione, elementi che possono essere considerati come le variabili utilizzate dall’approccio psicosociale per la descrizione delle organizzazioni e delle loro dinamiche:

 

fenomeni di gruppo: i gruppi sono , secondo la definizione lewiniana, un insieme di persone in cui i membri sono in rapporto di interdipendenza, cioè si influenzanovicendevolmente. Nell’ottica dell’organizzazione c’è un fondamentale fenomeno che interessa studiosi ed operatori: l’influenza che il gruppo esercita sul singolo e sul svio comportamento. In questa ottica si collocano alcune ricerche di laboratorio dai risultati eclatanti ( tra cui quelle condotte da Asch ) sul conformismo determinatodal cedimento alle pressioni di gruppo. Un altro risultato di grande importanza applicativa raggiunto da diverse ricerche condotte nei reali ambienti delle organizzazioni é quello secondo cui il livello di prestazione fornito da un operatore é determinato soprattutto dalla ‘norma di gruppo” piuttosto che dalle sue capacità o motivazioni individuali.

 

stile di leadership e di direzione: viene definito come fenomeno di leadership quello per cui una persona esercita influenza sulle altre persone e soltanto il fatto che tutti ne esercitano almeno un po’, si indicano i leader come quelle persone che si distinguono per il fatto di esercitare sugli altri una influenza particolarmente significativa. Dallo studio della leadership ci si aspetta di ottenere delle indicazioni su quello che deve essere il comportamento ottimale di colui che svolge il ruolo di capo. In una ottica organizzativa complessa, lo “stile di leadership”, termine con il quale di solito ci si riferisce alla guida di un gruppo da parte di una o più persone, diventa “stile di direzione”.

 

bisogni e motivazioni: i contributi scientifici dell’approccio psicosociale del fattore umano hanno permesso di focalizzare il fatto che, in ogni persona, ilcomportamento nell’organizzazione é sempre collegato a certi bisogni, i quali si esprimono attraverso l’influenza dei fattori personali ed ambientali, nelle motivazioni che determinano il comportamento.

 

 

 

 

 

 

 

 

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